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Venezia

C'‚ un pozzo, nel vecchio Campiello,

scavato in un gran capitello.

La chiesa. Quand'ero bambino

qui c'era "Degan", frittolino.

E v'era un Teatro alle spalle

(sopportego, poi nella calle)

col nome d'un grande soprano,

mi sembra che sia Malibrano.

Ricordi di tempi passati.

Or fanno dei filmi vietati.

La nebbia che attenua i rumori,

la nebbia, che sfuma i colori,

nasconde in un grigio di veli

le luci del grande "Danieli":

lontano miraggio, remoto,

avvolto finora d'ignoto.

Dimora di fate, di maghi,

d'ignoti reconditi svaghi.

Ed ora son qui, sul balcone,

con solo compagno un piccione,

le penne d'un grigio arruffato,

che cerca, pauroso, affamato

e insieme violento, aggressivo,

mangiare, per essere vivo.

Di fronte, San Giorgio Maggiore

rosseggia nel sole che muore.

Il Lido si staglia lontano,

ma solo se tendi la mano

ti sembra poterlo toccare.

Più oltre, l'immenso del mare.

Qui sotto, due ponti, la Riva.

La gente ti par che riviva:

il Doge, le Dame, Faliero

soppresso d'un tratto di nero.

San Marco, i preti, le suore,

i Mori che battono l'ore.

Pellicce di scuri visoni,

turisti con vecchi maglioni

e sacchi che sembrano neri.

Accenti lontani, stranieri....

Con prezzi da ricchi, vetrine....

collane con tante perline....

La vecchia locanda muschiosa....

Danieli: la vita lussuosa....

La mensa goliarda, la fila....

Risotto-champagne: centomila.

In questa città… sono nato,

ed eccomi qua, son tornato,

guardando, guardando, guardando

così, come stessi sognando

di vita confusa, sconvolta.

Venezia. Per l'ultima volta.

ULISSE

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